Ci ritroviamo in un pomeriggio d’autunno in Viasaterna, è qui che Martina Corà ha esposto In Crescendo la mostra personale che pone la musica e il segno al centro della sua poetica. L’artista crea un’ interazione tra questi due linguaggi attraverso decodificazioni e tecnologie d’avanguardia poste come antitesi  alla musica classica. Di sottofondo alle nostre parole riecheggia la musica proveniente dalla stanza in cui qualche settimana prima Giovanni Pavesi ha diretto l’ensemble Musica Instrumentalis durante la serata inaugurale; mi spiegano come le sculture che ci circondano e che il sole autunnale illumina penetrando dalle finestre, facendone risaltare il bianco, siano parte di un lungo lavoro di mappatura sui gesti e movimenti di Giovanni nell’atto di dirigere, trasformati poi in queste opere d’arte.

LL : Com’è nata l’idea di questa collaborazione?

MC: Sono arrivata a Giovanni tramite una serie di conoscenze in comune. La prima   fra tutte Bruno Dal Bon, il primo direttore d’orchestra che ho incontrato, la collaborazione è stata molto breve, ma mi ha permesso non solo di arrivare a Giovanni, ma di avviare l’idea che mi avrebbe portata a tutto questo. Ci siamo incontrati la prima volta al Teatro Sociale di Como, lui era occupato nelle prove con i ragazzi del Conservatorio; in quel frangente mi aveva dato la possibilità di fare alcune riprese, eravamo ancora nella fase iniziale, avevo ideato soltanto qualche schizzo, non esisteva un’idea definitiva, sapevo soltanto che volevo concretizzare un progetto legato alla gestualità. Osservandolo, guardando i suoi movimenti, il modo che aveva di riempire lo spazio, da qui ho iniziato a percepire dove realmente volevo arrivare, ho lentamente capito che quello del direttore d’orchestra non è solo un lavoro mentale, ma una performance vera e propria, dove viene coinvolto sia emotivamente che fisicamente.

Poi è subentrato Giovanni, siamo ancora agli albori del progetto, ci siamo confrontati e abbiamo trovato una grande sintonia; il processo è stato lungo, ma all’inizio di marzo, con le idee molto più chiare ho voluto lavorare proprio fisicamente al progetto, abbiamo quindi realizzato una session in cui Giovanni realizzava una performance, durante la quale ho mappato i suoi movimenti, parte dei quali sono contenuti nel video, che per me rappresenta una sorta di contenitore di tutto questo lavoro visivo e narrativo, in quanto racconta l’intera storia del progetto e sopratutto racchiude l’essenza di come Giovanni dirige.

Martina-Corà-3B-2019-inkjet-print-on-cotton-paper-cm-42×30.jpg

LL: Giovanni, ti riconosci nelle sculture di Martina?

GP: Facendo un passo indietro e riprendendo le parole di Martina, vorrei sottolineare quanto mi ha affascinato questa sua idea, in quanto il gesto del direttore d’orchestra è assolutamente astratto ed effimero, il direttore si muove nell’aria e nello spazio ottenendo come risultante il suono, quindi quello che mi ha appassionato fin da subito è stata la possibilità di dare concretezza a qualcosa che di sua natura non lo è e questo mi ha coinvolto molto. 

Inoltre mi ci riconosco molto, sia nei pezzi confluiti nella mappatura, sia nelle sculture; se noti queste hanno una forma a nastro, sono avvolgenti; ecco questo è il mio modo di pormi nei confronti dei musicisti dell’orchestra ed esprime il mio desiderio quando dirigo. Ossia quello di evitare di essere distaccato, ma abbracciare ed avvolgere la mia orchestra, quindi l’idea che Martina abbia creato delle sculture dando loro questa forma mi rispecchia molto.


Martina-Corà-21-25-2019-stampa-3D-cm-48x23x13-©-Martina-Corà-courtesy-Viasaterna-copia.jpg

LL: Il brano che avete scelto per la mappatura da cui poi sono nate le sculture, è il Prèlude à L’àprès-midi d’un faune di Debussy , come ci siete arrivati?

GP: Martina aveva come idea iniziale quella di scegliere diversi brani musicali che io potessi dirigere mentre mappavamo, il mio dubbio in questo modo era quello di non percepire qualcosa di personale in quanto non avevamo un’orchestra in quel momento, quindi le ho proposto di lavorare su una mia precedente registrazione del Prèlude à L’àprès-midi d’un faune Debussy. Si trattava di un video ripreso in un concerto di chiusura di uno dei miei corsi alla Civica Scuola di Musica eseguito con i Pomeriggi Musicali. Le ho suggerito questo brano, in quanto è molto variabile dal punto di vista tecnico, in esso è presente una grande diversità gestuale ed è quindi possibile sondare ed analizzare tipi diversi di gesto isolando quelli che maggiormente colpiscono. Stesso concetto dal punto di vista visivo, inoltre essendo una registrazione, che io stesso avevo prodotto, mi ci potevo immedesimare e riconoscere, questo è il motivo di questa scelta.

LL: Avete suddiviso la mappatura in tre momenti differenti, momenti da cui nascono appunto le sculture, volete descrivermeli?

GP: Tecnicamente per quanto riguarda la parte musicale, avevamo un video accompagnato dall’audio, abbiamo stabilito come realizzare la mappatura prima sulla partitura. Le ho indicato i cambi di tempo che implicavano una differente gestualità e successivamente abbiamo ipotizzato di isolarli. La prima scultura, situata nella parte sottostante della galleria, è la parte iniziale del brano in cui ci sono diversi cambi di metro, essa rappresenta un gesto abbastanza tecnico, più asciutto, pulito dove la precisione è l’elemento fondamentale, la scultura ( più grande ) rappresenta il momento culminante del brano, in cui il gesto sostanzialmente si ripete, ma l’importanza è più legata all’enfasi che si vuole dare da un punto di vista non tanto emotivo, quanto piuttosto interpretativo ed è quindi anche un po’ più libera come gestualità, l’ultima scultura invece descrive le ultime battute, in particolar modo una, dove il gesto è molto semplice e lineare, anche qui schematico, però con una sua fluidità, si ferma in quattro punti diversi che rappresentano poi i cardini per la direzione da cui è nata la scultura.

Installation-view-42-from-the-exhibition-In-Crescendo-©-Martina-Corà-courtesy-Viasaterna.jpg

LL : Martina, avevi previsto la forma delle sculture? Come ti sei sentita quando le hai viste per la prima volta?

MC: No, non era prevista la forma, anche perché sono stampate con una stampante 3D, quindi non avevo assolutamente idea di come sarebbero potute venire e mi affascinava avere quest’incognita. Ho iniziato a studiare i segni, realizzando i primi schemi, che poi si sono concretizzati nei disegni presenti in galleria, soprattutto nel primo appeso all’ingresso, che infatti richiama la prima scultura, si può dire che questo è stato l’approccio iniziale, in quanto da qui è nata l’idea di questo progetto. Successivamente mi sono resa conto dei primi movimenti, da cui sarebbero potute nascere le sculture e che avrei così potuto realizzare quest’idea in un unico corpo.

Vederle concretamente per la prima volta è stata un’ emozione molto particolare, devi tener conto che io provengo dalla fotografia, è stato veramente un approccio inusuale quello con le sculture, mi ricordo che quando mi hanno consegnato la prima ho continuato ad osservarla per un tempo che mi è parso interminabile prima di toccarla per prenderci confidenza e sentirla mia, poi mi ci sono ritrovata e quindi l’ho carteggiata, rendendola bianca ed uniforme.

LL:  Com’è stato dirigere guardando il pubblico?

GP: Per me è stato un grosso cambiamento, proprio perché ciò che io percepisco di rimando dai musicisti non è soltanto ciò che stanno suonando, ma è anche il modo in cui lo fanno, la loro fatica nei passaggi complessi, o il loro sentirsi totalmente a proprio agio quando sta nascendo qualcosa di buono, è un continuo stimolarsi a vicenda, io ricevo degli input da loro e di rimando li restituisco, o anticipo qualcosa, perché è anche questo il ruolo del direttore, devo anticipare delle intenzioni ed essere sicuro che poi quelle intenzioni raggiungano tutti nel momento in cui è necessario che arrivino. Per questo motivo generalmente cerco molto il contatto visivo con l’orchestra. La sera dell’inaugurazione credo sia stata una delle poche volte in cui ho tenuto il volto chino sulla partitura, lo sguardo alzato solo per incontrare i musicisti, perché appena lo sollevavo un po’ di più vedevo altre persone e di rimando arrivavano altre emozioni o sensazioni e questo poteva creare un’interferenza, quindi è stata un’esperienza molto inconsueta.

Installation-view-33-from-the-exhibition-In-Crescendo-©-Martina-Corà-courtesy-Viasaterna.jpg

LL:  Martina, mi vuoi descrivere il software per la mappatura?

MC:  La mappatura avviene attraverso un software che in realtà è una sorta di telecamera che legge delle immagini davanti a sé, in questo caso ha inquadrato il corpo di Giovanni isolandolo da tutto il resto. Eravamo in un ambiente abbastanza vuoto e dal computer decidevamo il punto di origine quindi la matrice sonora, corrispondente alla mano di Giovanni da cui avveniva la registrazione, dopo diverse prove è nato il girato e tutta l’esecuzione.

Il software rappresentava proprio il riconoscimento del corpo che è evidente in alcuni punti del video; si possono notare in alcune scene la presenza dei lineamenti di questo tratto che abbiamo utilizzato, sembra quasi un segno di penna, una traccia sottile. Interessante è spiegare che attraverso questo file da render, ho poi concretizzato la stampa 3D da cui sono nate le sculture, vorrei spiegare che esiste una motivazione per questa scelta, infatti sicuramente esisteva una curiosità da parte mia per il mezzo in quanto tale, ma m’interessava mettere in evidenza il contrasto tra una tecnologia così avanzata e il mondo della musica classica.

Installation-view-12-from-the-exhibition-In-Crescendo-©-Martina-Corà-courtesy-Viasaterna.jpg

LL:  Che rapporto c’è tra arte e musica dal tuo punto di vista?

MC:  Questo progetto è stato un po’ l’apice di quella che è stata la mia ricerca tra arte e musica, una disciplina che mi è molto cara, è una passione che mi è stata tramandata ed è sempre stata presente nei miei lavori, anche in quelli precedenti legati alla fotografia. In essi ricercavo sempre una certa musicalità nella composizione, creando un’armonia compositiva. Successivamente ho ritrovato l’atto sonoro in qualcosa di ancora più dinamico come il video. La musicalità nell’arte è una parte che mi aiuta ad esprimere quel lato di me che rimarrebbe nascosto. Credo che la musica potrebbe avere un peso nell’ambiente dell’arte contemporanea, sarebbe interessante, come nel caso di questa mostra, creare degli ambienti ibridi. Percepisco la musica come qualcosa di stimolante e credo che con un po’ di divulgazione, potrebbe aiutare a leggere alcune opere che talvolta possono apparire inaccessibili.

LL: Giovanni, mentre il rapporto tra musica e arte tu come lo vivi?

GP: Il lavoro del direttore d’orchestra è creato da immagini, sfogliando e osservando una partitura io trasformo nella mia mente la musica in un’immagine sonora, creo visivamente nella mia mente come procederà un pezzo, è come se dovessi preparare una coreografia, nel senso che la mia gestualità è codificata, perché il direttore d’orchestra deve essere in grado di esprimersi senza poter parlare, deve saper comunicare con i gesti le proprie intenzioni, anche attraverso il tratto che lascia nell’aria e questo è percepito da un punto di vista visivo. Il direttore deve immaginare quello che succederà a seconda di come muoverà il braccio, il corpo e quindi deve creare un’immagine, si deve immaginare. Per questo motivo arte e musica, che sembrano in realtà scollegate tra loro, in realtà sono dei linguaggi che comunicano tantissimo.

Leda Lunghi