«Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l’unico problema. Per non sentire l’orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi tiene a terra, dovete ubriacarvi senza tregua. Ma di che cosa? Di vino, poesia o di virtù: come vi pare. Ma ubriacatevi. E se talvolta, sui gradini di un palazzo, sull’erba verde di un fosso, nella tetra solitudine della vostra stanza, vi risvegliate perché l’ebbrezza è diminuita o scomparsa, chiedete al vento, alle stelle, agli uccelli, all’orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto ciò che scorre, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, chiedete che ora è; e il vento, le onde, le stelle, gli uccelli, l’orologio, vi risponderanno: “È ora di ubriacarsi! Per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo, ubriacatevi, ubriacatevi sempre! Di vino, di poesia o di virtù, come vi pare.» 

E’ con questi versi di Charles Baudelaire che vorrei introdurre le parole di Stefano Romano, poesia che lui stesso cita in quest’intervista, raccontando Monumenti impermanenti, la personale a cura di Gabi Scardi in mostra alla Fondazione Pini di Milano. Quest’artista descrive la sua empatia con le architetture e i monumenti, l’emozioni che questi sono in grado di trasmetterci, portando con loro la storia ed il tempo, accompagnandoci nelle nostre vite, osservandole come degli eterni punti fissi. Stefano Romano con una rara ed emozionante poesia descrive eventi politici, storici e sociali, attraverso i monumenti, racconta la precarietà dell’esistenza, segnata da una labile transitorietà che da sempre accompagna il nostro destino. Il tempo scorre sotto l’occhio vigile di queste costruzioni e quest’artista, italiano di nascita, ma albanese di adozione, ci racconta questo paese, in cui vive da tempo, la sua situazione, i suoi cambiamenti, osservandolo attraverso l’eternità e l’umanità dei suoi edifici ed è partendo da una situazione locale come quella albanese, che cerca di allargare il suo sguardo ad una ricerca più ampia in una realtà sempre più complessa e fragile.

Come nasce l’idea di questa mostra?

Questa mostra nasce da un incontro con Gabi Scardi, durante il quale avevamo pensato all’idea di fare un riassunto del mio lavoro, concentrandoci su come può cambiare la ricerca di un artista nel corso degli anni.

Dieci anni fa, realizzai una mostra da Careof, curata da Alessandra Pioselli e Chiara Agnello in cui raccontavo i miei primi dieci anni di carriera, visto che erano passati altri dieci anni, con Gabi avevamo pensato di riflettere, in maniera assolutamente non celebrativa, su questo concetto. In questa mostra abbiamo cercato di esporre i lavori che meglio potessero rappresentare i passaggi di questo percorso.

Partendo dall’idea di monumento, di architettura tocchi tematiche importanti, come la storia, la società, la memoria, smantellando i concetti di rigidità e trasformandoli in un’idea di precarietà, umanità ed empatia, vuoi descrivermi questa tua poetica?

Sono sempre stato interessato dal concetto di architettura e di spazio urbano, sono due concetti dal mio punto di vista contrastanti, li definirei dialettici.

Lo spazio urbano lo chiamiamo spazio pubblico, ci induce a pensare all’idea di condivisione mentre nell’architettura, riponiamo il concetto, l’idea di un luogo che deve essere abitato o in qualche modo vissuto, ma la sua identità principale consiste di tendere all’eternità, o comunque a un tempo molto lungo.

Se ci riflettiamo, dal momento in cui un edificio viene costruito, fino al momento in cui esso viene smantellato o demolito, trascorrono archi di tempo che, molto spesso vanno oltre la durata della nostra vita. Questa condizione mi ha sempre affascinato, è come se le architetture per noi fossero delle certezze.  Contemporaneamente però viviamo in un mondo estremamente veloce, la realtà, tutti i nostri scambi, sono resi veramente rapidi dalle nuove scoperte tecnologiche, dai nuovi modi di vedere la società, i nostri confini appaiono essi stessi così fragili, così vicini l’uno all’altro, il mondo è diventato molto più piccolo e, in questo senso, trovo ancora più interessante la nostra coesistenza con questi monumenti, i quali  invece sono stati realizzati per superare le nostre vite e i nostri destini. In realtà il mio rapporto con loro è un rapporto empatico, nasce proprio dalla necessità di mettere i monumenti al corrente di ciò che ci accade.

In merito a questo, all’empatia che mi hai appena raccontato, come descrivi il tuo rapporto con la Piramide, il soggetto della performance di Histoeri? Che importanza ha secondo il tuo punto di vista questo monumento per Tirana e per l’Albania in generale, essendo portatrice di un bagaglio storico così imponente sia dal punto di vista culturale che architettonico?

Il Rapporto con la Piramide è anch’esso empatico, è stata la prima architettura su cui sono salito quando sono arrivato in Albania, salito in senso fisico intendo, perché lo spazio non è adibito a questo. Allora, era un luogo destinato alle fiere, quindi ci si poteva ancora entrare, ma dall’interno non si percepisce la sua fisicità. Per questo motivo ho deciso di arrampicarmici e da lì ho scoperto un punto di vista su Tirana che è totalmente diverso da qualsiasi altro. La Piramide è un’architettura differente dalle altre, ti invita a salirci sopra, così quando nel 2011 il primo ministro di allora decise di abbatterla, mi resi conto di quanto in realtà quel monumento fosse significativo ancora nella memoria degli albanesi, come simbolo di un passato difficile e credo che il volerlo demolire non solo cancelli quel passato e il male che ha fatto a questo popolo, ma ne impedisca la memoria, rendendo così possibile soprattutto per le nuove generazioni, un ritorno a quel passato.

Da qui il gesto della performance, salire in cima alla piramide e stendere il telo con la parola in albanese Histeri ( isteria ), che è diversa di una sola lettera dalla parola Histori ( storia ), voleva significare proprio questo, come in quel momento non rappresentasse più la storia di un popolo ma la sua isteria, l’incapacità di quel popolo di confrontarsi con il proprio passato. In realtà, l’idea della performance è valida e attuale ancora oggi, in quanto il governo che allora era all’opposizione e che appoggiava il fatto che la piramide non venisse distrutta, oggi ha intenzione di trasformarla dall’esterno, quindi verrà cambiata architettonicamente, verrano costruiti dei negozi e saranno aggiunti degli scalini permettendo di salirvi, ma cambierà totalmente l’impatto dell’architettura, verrà cancellata l’empatia, quindi in realtà è come se venisse distrutta ugualmente, nel senso che non manterrà quella forza simbolica che aveva precedentemente e che ha ora.

Histoeri

Ti definisci un artista politico? Che importanza ha l’arte nel lavoro Zanafilla, me ne vuoi parlare?

In Albania c’è un dibattito molto forte sull’arte politica e si produce molta arte politica. Mi hanno definito un artista politico, accetto il termine nel senso che dal mio punto di vista, ogni volta che noi prendiamo posizione verso qualcosa stiamo facendo politica, in questo senso mi definisco anch’io un artista politico, però ho sempre pensato che non bisogna perdere di vista il fatto che comunque stiamo creando un’opera d’arte e per questo il valore estetico di quello che facciamo non debba andare perso. Per questo motivo nei miei lavori, anche quando sono più apertamente politici, come nel caso della Piramide o in questo caso del teatro, cerco sempre di analizzare il problema e di arrivare ad una soluzione da un punto di vista laterale, provando ad individuare ed aprire nuovi modi o nuove possibilità, la mia idea è quella di analizzare e affrontare il problema politico da un punto di vista poetico.

In una sua poesia Baudelaire, che io amo molto, dice che bisogna sempre essere ubriachi per dimenticare il fardello del tempo che passa, recita così: “ ubriacatevi di poesia, di virtù.. ” cerco di fare mia questa frase nella vita di tutti i giorni, nella mia arte e in quanto tale è molto presente anche nel lavoro del teatro.

Quello che ho affrontato in Zanafilla è un problema molto politico, con persone che sono state arrestate, ci sono state proteste anche con scontri violenti, io desideravo far riaffiorare il lato più poetico. Ho trattato l’edificio come se fosse una persona di una certa età e per questo motivo il tempo ne mostra gli acciacchi; in questo caso identificati con il tempo stesso, l’incuria dei vari politici che sono stati al governo e così via. Mi piaceva l’idea che ne uscisse un ritratto, da qui la nascita del confronto tra il vecchio e il nuovo si trasforma dal punto di vista umano.

Zanafilla

Come è stata la reazione delle persone durante la performance Study For A Monument in cui attraverso una scaletta chiedi alle persone di raccontare attraverso una posa la propria idea di monumento?

La risposta è sempre molto positiva, sono convinto che se la reazione delle persone di fronte alla richiesta di un artista non c’è è perché è sbagliata la domanda. Se viene posta la domanda giusta la gente ha voglia di essere coinvolta ed è anche disposta ad uscire dalla routine della propria quotidianità e quindi ho sempre trovato molta disponibilità. Le persone hanno dimostrato empatia nei confronti di questo lavoro, non accade spesso di avere la possibilità ( in un tempo brevissimo come quello di una fotografia ) di mostrare i propri valori. La reazione è stata sempre molto positiva per questa ragione, avere l’occasione di esporre ciò in cui si crede, raccontare i propri valori di qualsiasi genere essi siano è qualcosa di raro.

Study for a Monument

Quanto l’Albania ha influenzato la tua arte? Quanto ti ha cambiato?

L’Albania mi ha cambiato la ricerca. Se riguardo i miei lavori precedenti, non posso non rilevare che esiste uno scarto tra prima e dopo. Devo tantissimo all’Albania in questo senso, però ho sempre sperato di poter parlare ad un pubblico europeo, di riuscire attraverso dei problemi, se vogliamo locali ad instaurare un dialogo che vale per una fetta più ampia di mondo, è una ricerca che parte dall’Albania ma tenta di allargarsi ad un pubblico più ampio.

Per esempio l’Albania è responsabile della genesi di Quarto Movimento. Questo lavoro nasce da un evento che in Italia non mi era mai capitato di vedere, cioè le celebrazioni per il giorno dell’Europa, l’8 maggio, che qui in Albania per me in maniera assolutamente assurda, non essendo un paese della Comunità Europea, viene festeggiano con celebrazioni enormi, ogni ambasciata organizza una serie di eventi nella settimana precedente e nella settimana successiva per festeggiare l’Europa. Questo mi è sembrato veramente paradossale, a volte anche ipocrita, in un paese che non è parte della Comunità Europea, i cui abitanti fino a pochi anni fa, necessitavano di un visto per poter viaggiare e che ancora oggi fanno fatica a vedere riconosciuti i propri diritti in quanto cittadini albanesi. Da queste riflessioni è nata l’idea di questo lavoro riguardante l’Europa. E’un’opera sonora ed il suono riesce a creare una forte empatia con chi ascolta. Volevo che fosse una relazione uno a uno, questo lavoro ha creato una forte emozione. I partecipanti ascoltando questo brano che poi è l’Inno Europeo scomposto, hanno provato un fortissimo senso di solitudine, moltissimi di loro al termine dell’esecuzione, usciti dalla stanza si sono commossi, hanno percepito l’emozione di trovarsi soli con un musicista disposto a suonare qualcosa per loro, questo ha innescato l’empatia tra i due soggetti e tutta una serie di emozioni e sensazioni molto private e personali, è stata percepita tutta la solennità del momento.

Su quali riflessioni ti sei voluto soffermare con Quarto Movimento? Che legame c’è tra questo lavoro e la “possibile” entrata dell’Albania in Europa?

Essendo fuori dall’Europa mi ha dato la possibilità di osservarla da una prospettiva alla quale stando dentro difficilmente avrei avuto accesso. Quarto Movimento non vuole essere una spinta a fare entrare l’Albania in Europa, cosa che credo naturalmente avverrà per motivi geopolitici, ma piuttosto una riflessione su quello che noi europei ( inteso come Comunità Europea ) ancora non siamo, è difficile che qualcuno si senta europeo nella realtà quotidiana, se non attaccato dall’esterno da  altri fattori, ma nella vita di tutti i giorni, io personalmente non mi sento europeo, non è stata costruita un’identità, il lavoro riflette sulla mancanza che io provo e che è forte.

Quarto Movimento

Leda Lunghi