La  pratica artistica di Camilla Alberti si concentra sull’interazione delle diverse specie e lo spazio che le circonda. Analizzando l’altro, l’artista destruttura la piramide del pensiero dell’essere umano, coniando con le sue opere un’orizzontalità a cui appartengono tutte le specie. Le sue opere sono ibridazioni, metamorfosi, legate al concetto di scarto e di rovina; nascono così, dall’idea di archeologia urbana,  opere rizomatiche, che convogliano in quelli che lei stessa chiama “Mostri”, il cui scopo è abbatterete muri reali e mentali, stereotipi e narrazioni della nostra società, cercando di portarci in una contemporaneità nuova, analizzando il postumano.

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La tua ricerca artistica nasce da un forte legame con la natura, me ne vuoi parlare?

La mia ricerca nasce dall’interesse per la relazione dell’essere umano con ciò che è altro, lo scopo è volgere l’attenzione verso la vita degli altri, verso tutto ciò che definiamo come non umano. L’interazione interspecie all’interno di uno spazio è sempre stata ciò che mi interessava maggiormente. Attraverso le mie opere, ho sempre cercato di comprendere, e successivamente abbattere, il confine tra umano e non umano, in che mondo esso veniva costantemente costruito e codificato; lentamente, quest’attenzione è diventata sempre più presente nei miei lavori, iniziando proprio ad inserirsi come cooperazione attiva nella mia ricerca.

Questa cooperazione è divenuta ad un certo punto una collaborazione attiva con altre specie viventi, per esempio: muffe, piante, muschi, bachi da seta, tarli, ognuno di loro ha trasformato le sculture da mondi “asettici” a luoghi trasformativi. Questi venivano quindi costruiti da me in un modo e plasmati dagli altri in un altro, un processo su cui io non avevo minimamente il controllo. All’interno del mio lavoro questa relazione necessaria con l’altro accade come momento fondamentale, in cui imparo a conoscere l’altro, ad aspettare i suoi tempi, per poi ottenere un risultato conclusivo comune. 

Hai parlato di altro, Il tuo lavoro si basa anche su un cambiamento di prospettiva, di abbattimento di confini, le tue opere sono metamorfosi, ibridazioni, legate al concetto di coesistenza e di abbattimento di muri. Chi è l’altro per te?

Il mio è un modo di ripensare questo concetto di altro, cerco di riconoscere una diversità nelle vite altrui, questo è quello che vorrei compiere attraverso il mio processo di ricerca. Provo a immergermi in un cambiamento e quindi a modificare il mio stesso punto di vista. L’altro è proprio questo, ciò che non riconosciamo come umano, perché appartenente ad un’altra specie e in questa relazione dell’altro molto spesso c’è quasi una classifica. Gli esseri umani tendono a suddividere la propria esistenza in uno schema piramidale, dove l’essere umano è posizionato all’apice e poi sotto, non si sa per quale motivo, ci sono tutti gli altri esseri viventi. Questo concetto di “sotto” non esiste secondo me, non parliamo né di un sopra né di un sotto, ma di orizzontalità, di quella che è la vita, in cui sicuramente c’è una diversità di punti di vista, di metodi costruttivi, di tutto quello che possiamo inserire in questo cerchio, ma non esiste uno schema piramidale, questo è un nostro schema mentale, essendo la società umana basata su questo. Ovviamente le specie si relazionano tra di loro con rapporti che vanno dalla predazione, alla collaborazione ma, semplicemente, questo in natura è considerato vita.

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Com’è nato il progetto legato alle piante?

Tutto questo progetto legato alle piante è nato, come dicevo, per porre l’attenzione su questi organismi, che noi spesso incontriamo nella nostra vita, ma, a cui non rivolgiamo un attenzione particolare poiché, fatichiamo a vedere in loro una vita. Trasformo questo concetto in una scultura, quindi in un oggetto con un valore economico e un valore poetico; inserisco all’interno di essa, i muschi, organismi che noi solitamente scorgiamo, forse osserviamo e calpestiamo nei nostri camminamenti urbani. L’opera costruita, permette di creare uno spazio di focalizzazione in cui la vita di quei vegetali, abitanti di essa, ne diventano i soggetti cardine. Inoltre, quando viene esposta, la scultura chiede una relazione fissa;  questi organismi impongono  cura e attenzione, un’attività che ci permettiamo di non svolgere con i vegetali nelle nostre case. Una vera richiesta di relazione e cura, perché quell’opera deve rimanere attiva per un insieme di motivi, quindi qui subentra la vera potenzialità dell’arte di creare uno spazio di azione effettiva e non semplicemente teorica.

I materiali che utilizzi sono frammenti, oggetti di scarto, rovine, che significato hanno per te?

Il concetto di rovine mi è sempre stato caro ed è legato a tutta la mia ricerca, anche quando lavoravo con sculture in cui l’altro non era presente, esisteva lo scarto. L’elemento di scarto, risulta sempre affascinante, perché mostra e racconta una storia nascosta. Lo scarto viene abbandonato da qualcuno e proprio questo abbandono diventa altro, uno spazio di trasformazione di cui altre specie viventi si appropriano, manipolandolo, abitandolo. Esiste una processualità di passaggio di mano in mano, dove differenti metodi costruttivi si intrecciano e coesistono. Dal momento che il mio lavoro ha assunto una forma sempre più ibrida, lo sono diventati anche i materiali di recupero. Durante le passeggiate e gli studi relativi alle piante, ho iniziato a notare oggetti abbandonati, elementi di scarto lasciati nei campi; questi avevano forme particolari, interessanti, metamorfiche, per esempio ho trovato delle scarpe abbandonate in un campo di grano che erano state colonizzate dai muschi. 

Trovo che possiamo considerare le rovine il simbolo del contemporaneo, in quanto incarnano i principi di cui oggi si dibatte maggiormente, ovvero coesistenza e ibridazione. Sono gli spazi in cui le specie coabitano, stringendo relazioni strettissime.

Le rovine sono luoghi che per alcuni animali vengono considerati di passaggio, per altri sono una casa, per le piante sono un punto di connessione al bosco vicino, aree focali che in cui accade il divenire, la vita relazionale. 

Il mio lavoro, attinge da questo immaginario riflettendo su queste connessioni inter-specie a partire dalle manipolazioni subite dai materiali in rovina, come fossero delle mappe fatte di tracce altrui. Le sculture che costruiscono partono da questi oggetti, da queste rovine contemporanee, raccolte attraverso quello che chiamo “processo di archeologia urbana”. Ogni elemento inserito nelle sculture ha una sua storia e la mostra tutta, ogni anfratto, ogni buco è una traccia lasciata da altri: da insetti, muschi, animali… Trovo questo aspetto molto stimolante poiché, mi permette di lavorare confrontandomi con forme che non ho pensato o progettato io, ma dove il mio intervento è semplicemente un contributo che si aggiunge a quello di tutti gli altri, una traccia che si aggiunge alla storia di un materiale, stratificandosi tra le vite che lo hanno plasmato. 

Raccontami il tuo studio…

Lo studio è un luogo intricato potremmo dire, prima di tutto si trova all’interno di un ricamificio tessile, dove il processo scultoreo entra in dialogo diretto con le dinamiche aziendali dello spazio. Inoltre, raccogliendo rovine contemporanee, ho accumulato un archivio di oggetti e materiali sparsi un po’ ovunque. Ho diversi metodi di archiviazione che, seguono, criteri di luoghi; ovvero unisco gli elementi trovati in una certa città, oppure seguo le tipologie di oggetti ,quindi unisco gli elementi di acciaio e via dicendo.. Ma prima ancora di queste suddivisioni e ordini spaziali, scelgo gli elementi da “fermare” e quelli da lasciare in “trasformazione” dividendoli tra interno (in studio) ed esterno (nel giardino). Tutto ciò che si trova nel giardino è oggetto di mutamenti, manipolazioni da parte delle intemperie e dei miei “collaboratori interspecie” come vespe, tarli, ragni, muschi e funghi. Organismi che abitano il piccolo giardino dello studio e che mi aiutano in alcune parti del processo scultoreo attraverso una relazione di mutuo scambio che, ovviamente è dettata dalla stagione, dal numero degli organismi disponibili in quel dato momento. Ogni variazione modifica la costruzione delle opere, soprattutto i tempi di produzione.

Quanto influisce il concetto di tempo, la trasformazione e limprevedibilità: come intervengono nella tua ricerca?

Nel mio lavoro il concetto tempo è molto importante. Quello di cui mi sono accorta lavorando con altre specie è che questo si moltiplica, l’incontro con gli altri apre a sfere temporale con ritmicità differenti dalla nostra ovviamente e spesso, far coincidere tempi umani con tempi altri è una sfida, soprattutto nel mondo lavorativo dove ci sono scadenze dopo scadenze. La riflessione sul tempo e sul suo scorrimento si rende necessaria per poter calibrare ogni sviluppo del processo creativo in relazione a tempi di vita diversi e necessità differenti. Nelle mie collaborazioni con le piante l’aspetto del tempo era un punto focale proprio perché la sfera temporale vegetale scandisce un ritmo altro rispetto a quello animale e quindi a quello umano, lo sforzo, per poter far combaciare ogni cosa, sta nell’immersione in questi flussi temporali diversi. Comprendere i tempi di vita altrui e modellare il proprio tempo armonizzando un ritmo sincronico che viaggia sulla stessa frequenza. Un processo tanto stimolante quanto stancante, perché nel momento in cui c’è la necessità di produrre un’opera, devo necessariamente passare attraverso varchi temporali che non dipendono solo da me e, magari, non riesco a farlo nei tempi in cui mi viene richiesto. Porto l’esempio dei bachi da seta, la cui vita e produzione è strettamente legata alla temperatura e all’umidità. 

La collaborazione è però una formula che mi impone, come essere umano, di porre attenzione verso l’altro, non usarlo per i miei scopi, ma definire uno spazio relazionale all’interno del quale si innesca una “conoscenza” reciproca. 

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Cosa intendi per Unbinding Creatures? Vuoi parlarmi dei tuoi cosiddetti “Mostri” e che significato metaforico possiedono?

L’immagine più chiara che ritrae Unbinding Creatures, ovvero le Creature dello Scioglimento, è quella di un cubetto di ghiaccio che si scioglie e ingloba tutto quello che lo circonda. Essi rappresentano la perdita dei confini e della possibilità di ricrearne. Unbinding Creatures sono creature estreme, prive di forme definite e, somiglianti a un miscuglio di specie viventi, animali e vegetali. La loro struttura è decentralizzata e abitano una narrazione che le vede scivolare sul mondo, costruendo i propri corpi con le rovine delle vite altrui. Unbinding Creatures sono corpi scultorei che riflettono sull’identità del mostro, quel qualcosa che non riusciamo a classificare e che nella cultura popolare abbiamo relegato ai confini dell’oscurità e della “cattiveria”. Il mostro è ,quell’entità malvagia, contro cui i paladini stereotipati dell’umanità combattono. Sovrastrutture ormai insostenibili. Mi piace ricordare una delle prime frasi con cui ho iniziato questa ricerca: “salviamo i draghi e non le principesse”, ribaltando così la trama narrativa, per andare a plasmarne un’altra ibrida e radicata, nelle necessità del contemporaneo. 

Unbinding Creatures sono organismi estremofili, capaci di vivere sulla soglia di pericolosità della vita, resilienti, capaci di adattarsi e coesistere. Creature simbolo per mitologie contemporanee da cui estrarre miti, i quali ci distolgano dalle narrazioni antiche, rimaste cristallizzate nel passato senza seguire l’evoluzione delle necessità dell’umane. Abbiamo bisogno di riconsiderare lo spazio di quelle narrazioni. Le radici sono fondamentali, ma queste devono diffondersi e radicarsi nel mondo.

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Da poco hai sperimentato Il tessile…

L’immaginario mostruoso, che sto indagando da tre anni ormai, passa attraverso più medium, dalla pittura alla scultura e il ricamo tessile. Il mio studio è all’interno di un ricamificio tessile come detto in precedenza. È un luogo familiare, gestito dai miei genitori da quando sono nata. Ho sempre vissuto questa realtà meccanica e anche abbastanza rumorosa come sottofondo. 

Nel 2019, ho iniziato a studiare un modo per impiegare le macchine nel mio lavoro provando insieme a mio padre differenti punti di lavorazione, filati e tessuti. 

L’ultima delle mie ricerche prodotte dal Ricamificio è Bizzare Remains. Per ora sono due ricami compositi formati da quattro sezioni per un totale di 100×80 cm. Le macchine da ricamo qui in azienda hanno, infatti, il limite di campo di 40×50 cm ovvero ogni testa della macchina da cucire non può uscire da quelle misure, così ho elaborato delle forme che potessero essere composte l’una con l’altra senza avere continuità. L’immaginario di riferimento per questo lavoro deriva dalla ricerca che ho avviato in Fondazione Ratti grazie al supporto della Direttrice della collezione di tessuti, Maddalena Terragni. Ho potuto studiare le forme dei ricami seicenteschi/settecenteschi definiti bizarre. Agglomerati di forme ibride che mischiavano insieme le scoperte del nuovo mondo fondendole in un immaginario mostruoso. 

Sono in corso due mostre. La prima, “Approach#1” a Trieste inaugurata il primo di ottobre con la pittrice Katarina Spielmann a cura di MLZ Art Dep e Wiener Art Foundation di Vienna.

La seconda, “AAA Animal Among Animals”, una collettiva curata da Gabi Scardi e RAVE East Village Artist Residency, inaugurata l’8 ottobre presso la Galleria Regionale d’Arte Contemporanea Luigi Spazzapan a Gradisca D’Isonzo.

Lo spazio della galleria MLZ Art Dep & Wiener Art Foundation è un luogo molto connotato, un antico appartamento signorile triestino, affascinante e con elementi architettonici molto presenti. Ho deciso di lavorare sullo spazio casalingo ambientando i mostri in un luogo prettamente umano impiegando oggetti come piatti rotti, tazzine, poltrone e via dicendo. Ogni elemento è stato smontato o riassemblato, dipende da che prospettiva lo si osserva, e ibridato con elementi marini, radici di bosco, scarti industriali.

La collettiva alla Galleria Spazzapan è legata al concetto di postumano e animalità, atti a reinterpretare la convivenza tra l’umano e gli altri esseri viventi. Come molti degli altri artisti in mostra, tra cui Regina Josè Galindo, Igor Grubic, Adrian Paci, ho trascorso un periodo di residenza presso RAVE East Village Artist Residency, il metaprogetto di Tiziana e Isabella Pers, all’interno del quale l’arte diventa uno strumento di azione efficace per scardinare la supremazia umana. La mostra Animal Among Animals è uno statement, una dichiarazione di intenti, raccontata attraverso il lavoro di artisti che fanno della loro pratica un immaginario di azione. 

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Progetti futuri?

Venerdì 29 ottobre, ho inaugurato un nuovo progetto espositivo a Piacenza curato da Sofia Baldi, presso Alfabeto Bianco, uno spazio nato dalla collaborazione e condivisione di Galleria Montrasio e Galleria Zero. La stanza dedicata a noi è un luogo in cui io e Sofia abbiamo portato una parte del mio studio ricreando una sorta di “camera delle meraviglie” in cui limaia, radici, licheni, funghi, freni a disco ecc. occupano le pareti al fianco delle Unbinding Creatures mostrando l’archivio di rovine di cui le sculture sono composte. 

Leda Lunghi

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