Elena Bellantoni ci parla di Ho annegato il mare, il progetto che ha portato a Manifesta collaterals in collaborazione con il Museo Mare Memoria Viva di Palermo a cura di Giulia Crisci e Neve Mazzoleni. L’intervento artistico, mette in relazione cittadini e mare, partendo dalla negazione presente nella parola “an-negare”. L’analisi sociale e politica dell’artista legata al territorio parte dall’utilizzo del linguaggio attraverso il quale si sviluppa l’azione partecipativa, che instaura un dialogo tra e con la città, il mare, la memoria personale e collettiva degli abitanti. Con essa Elena Bellantoni si avvicina alle persone e offre loro un’ulteriore possibilità di sguardi e punti di vista, interiori ed esteriori.
Il tuo nuovo progetto artistico presente a Manifesta collaterals a cura di Giulia Crisci e Neve Mazzoleni si intitola “Ho annegato il mare ” vuoi spiegarmelo partendo dal titolo che avete scelto?
Ho annegato il mare nasce come progetto selezionato per i “Collateral Events” di Manifesta 12, in collaborazione con il Museo Mare Memoria Viva di Palermo a cura di Giulia Crisci e Neve Mazzoleni. In questo contesto sono nate alcune mie riflessioni e visioni sulla costa sud e non solo. Mi sono interrogata molto sulla speculazione edilizia, passata alla storia come “sacco di Palermo”, avviato durante gli assessorati di Lima e Ciancimino. A partire da quegli anni, ho cercato di rileggere il territorio, il suo tessuto sociale, e di soffermarmi sulle cicatrici su cui oggi poggia la città.
Con Ho Annegato il Mare ho voluto creare il “luogo dell’avvistamento” di ciò che è possibile vedere, oltre il paesaggio. Sono le parole che raccontano ciò che c’era e che ora non c’è più, ciò che oggi vorrei vedere o, al contrario, cancellare. Chi decide di salire sulla Torretta acquisisce un punto di vista altro-alto che si materializza attraverso la visione del mare. Il mio invito è per un dialogo “a tu per tu”, per un discorso “intimo” a tre metri di altezza che si costruisce attraverso un movimento tra il dentro e il fuori. Il linguaggio viene simbolicamente gettato e affidato al mare che raccoglie il flusso dei pensieri che vengono a galla. Se il mare muore resta niente.
Ho giocato su questo paradosso dell’annegamento del mare come provocazione. È come se il mare in questo progetto divenisse una persona, o meglio una parte di noi. Il mare è un pretesto per dire, per esporsi. I pensieri emergono, vengo a galla appunto.
E’ un lavoro sul territorio della costa sud-est di Palermo, sulla speculazione, come sei arrivata a scegliere di lavorare su questo tema?
La Torretta rappresenta per me una “chiave” per decifrare Palermo, per entrarci e capirla. È la prima immagine che ho avuto nella mia testa camminando per il litorale della costa sud, così ho provato a seguirla fino in fondo. Ho attraversato luoghi in cui un tempo il grano e gli alberi d’arancio crescevano forti e “orgogliosi” al sole, e dove ora, al loro posto, c’è il cemento che ha creato “Panorums/Balermus”. La città fondata dai Fenici, la città che si affaccia sul mare, la città in bianco e nero, la città saccheggiata e che parla dalle ferite delle sue strade. Come una scacchiera.
La torre, nel gioco degli scacchi ha un ruolo particolare: difende il re ed effettua l’unica mossa che coinvolge, nello stesso momento, due pezzi presenti sulla scacchiera. Pensando a questa funzione, non posso non citare e associare la mia torretta di avvistamento alla figura di Pio La Torre, sindacalista illuminato e collaboratore di Berlinguer, il quale propose il reato di associazione mafiosa che prevedeva il sequestro e la confisca dei beni immobili. Nel 1976 La Torre fu componente della “Commissione Parlamentare Antimafia” che accusava duramente Vito Ciancimino, Salvo Lima e Giovanni Gioia di avere rapporti con la mafia. Alle 9:20 del 30 aprile del 1982 Pio La Torre, insieme al suo collaboratore Rosario Di Salvo, venne assassinato.
La Torretta somiglia molto a una torre di salvataggio, una di quelle che troviamo sulle nostre spiagge; chi ci sale sopra è pronto a difendere e a custodire, attraverso lo sguardo, l’Altro. La struttura è un dispositivo d’incontro che mette in relazione la città, il mare, la memoria personale con la mia azione di natura partecipativa. La sua altezza di 2 metri e 80 centimetri è funzionale alla vista del mare negato dal cemento, è dotata di ruote, è quindi mobile, attraversa il paesaggio, lo scrive e lo segna con il suo procedere. L’ho trascinata per un giorno intero seguendo la linea dell’orizzonte ed invitando chiunque volesse salire a un confronto con me sul mare annegato.
Il progetto è nell’ Ecomuseo Mare Memoria Viva, un luogo che appare quasi magico, vuoi raccontare cos’è un ecomuseo e la sua funzione nella comunità?
Come dici bene tu l’Ecomuseo Mare Memoria Viva è un luogo magico, che tutela la memoria del mare e dei suoi abitanti. Il Museo si trova al confine tra Foro Italico – non lontano da piazza Kalsa – l’Orto Botanico e l’inizio della litoranea della costa sud. Era anticamente un deposito di locomotive e si affaccia sul mare, in realtà si trova sopra un “mammellone”.
L’Ecomuseo Mare Memoria Viva, è uno spazio di comunità e cultura, creato insieme agli abitanti delle borgate marinare, che ospita una narrazione corale, audiovisiva e multimediale di storie, memorie, fotografie e video: ci sono storie di vita, di resistenza, di viaggio, di vacanze, di lavoro, di mafia e abusi; ci sono ricordi, foto sbiadite, luoghi dimenticati, opere di artisti, immagini del presente, fiabe, mappe e visioni del futuro. Indagando attraverso la ricerca e le pratiche artistiche il legame tra luoghi e persone il museo lavora sul senso di comunità e supporta azioni di cittadinanza attiva e sviluppo locale a base culturale.
Il team di Mare Memoria Viva (Cristina Alga, Giulia Crisci, Valentina Mandalari, Marina Sajeva e Giuliano) da tempo sta impiegando tutti i suoi sforzi a far rivivere questo territorio; attraverso attività didattiche, operazioni di recupero ed inclusione delle persone che vivono nella zona di Sant’Erasmo. Il loro lavoro è necessario e prezioso, tesse rapporti e mette insieme le diverse esperienze che questa costa racconta. Quest’anno dopo tanto tempo hanno fatto “risuscitare” la festa di Sant’Erasmo coinvolgendo gli abitanti del quartiere. Per me lavorare con loro è significato avere uno sguardo “privilegiato” sulla città, e avere una chiave in più per capirla ed approfondire la mia ricerca artistica.
In questo progetto fai interagire le persone con il mare, loro gli parlano da una torretta d’avvistamento, così cerchi di regalare loro un’altra prospettiva, vuoi raccontarmi questo tuo lavoro?
Dare la parola o prenderla significa assumere una posizione, anche fisica, come in questo caso salendo sulla Torretta. I soggetti sono due: la persona e il mare, mentre la Torretta e l’artista sono degli strumenti di accordo, dei dispositivi di scrittura e di registrazione.
Il mare ha il suo linguaggio: può essere calmo o burrascoso. Ovviamente, non lo si può annegare, la domanda che faccio contiene un paradosso: significa cosa vorresti cancellare, eliminare, far morire? Le parole “annegate” restano affisse alle pareti della memoria con la loro pesantezza, quasi fossero morte, consegnate sui muri di cemento della città e sulla Torretta stessa.
L’operazione, di per sé poetica e surreale, diventa così un atto liberatorio e di denuncia, uno spostamento e una traduzione, una modalità per guardare in avanti.
Quello che ho raccolto sono storie, racconti, sguardi sulla costa sud. Ho giocato sul concetto di negazione che si trova dentro la parola “an-negare”. Non tutte le persone hanno voluto annegare qualcosa, cancellarla… In realtà sono salite sulla torretta perché volevano vedere finalmente il mare, con un altro punto di vista; se non altro, quello che hanno annegato è stato il loro modo precedente di guardare al mare, non credi?
Leda Lunghi
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