Viviamo in un mondo di caos, dove certezze e insicurezze coesistono, le nostre paure sono in parte reali in parte immaginarie, come sostiene l’antropologo Marc Augè; esse sono legate all’ignoto, alle problematiche della terra, ma anche per la prima volta alla troppa conoscenza, qui c’è un richiamo al cambiamento portato dalle tecnologie; alcuni non pongono più in discussione nulla, la sicurezza radicale può essere interpretata probabilmente come una delle tante reazioni a un mondo in cui non abbiamo più punti di riferimento, dove perfino il tempo non ha più valore, o lo sta perdendo. Le problematiche antropologiche della nostra società, se pur per cause differenti si rispecchiano nella scelta curatoriale di Cecilia Alemani per il Padiglione Italia in questa cinquantasettesima Biennale di Venezia, che investe su un tema tratto dal testo Il Mondo Magico dell’antropologo Ernesto De Martino (1908-65 ) , dove il concetto di realtà e razionalità viene messo in discussione.

«La nostra civiltà è in crisi: un mondo accenna ad andare in pezzi, un altro si annunzia», sosteneva il filosofo e antropologo napoletano (in Naturalismo e storicismo nell’etnologia, pubblicato da Laterza nel 1941). Secondo De Martino Il magico può alleviare l’uomo da questa crisi e rassicurarlo del proprio essere al mondo, il magico non è una fuga dall’irrazionale ma un modo per osservare la realtà da un punto di vista differente in un momento in cui non si è più in grado di orientarsi. Da qui la scelta, indubbiamente positiva, dei tre artisti: Roberto Cuoghi, Giorgio Andretta Calò e Adelita Husni -Bey, tutti e tre connessi al concetto del magico con un intensità e sfumature differenti. Il magico non rappresenta per gli artisti una via di fuga ma un’interpretazione personale della realtà, concepita come esperienza nuova. L’artista stesso diviene qui una guida, che conduce il fruitore in altri luoghi, altri universi. Importante in questa edizione l’abilità dimostrata dagli artisti nell’interagire con i complessi spazi architettonici del Padiglione Italia. Roberto Cuoghi, riesce perfettamente nell’intento con Imitazione di Cristo, un’opera dove si è letteralmente accompagnati dall’artista negli spazi basilicali dell’Arsenale, in un toccante e intenso capolavoro emotivo, Cuoghi trasforma questi luoghi in una fabbrica di figure devozionali ispirate al testo ascetico Imitatio Christi, un lavoro concentrato su una logica di decomposizione, composizione, morte , rigenerazione, con un collegamento di dissociazione paragonabile al nostro presente.

Il lavoro di Adelita Husni-Bey: The Reading/ La Seduta, racconta in un video le paure di alcuni giovani, attraverso la lettura dei tarocchi, i ragazzi si pongono in due modi con un approccio efficientista e capitalista, tema principale è il rapporto con la terra, oggetto da sfruttare o madre da proteggere. I giovani vedono nel film i tarocchi per la prima volta, la lettura racconta le loro paure legate per l’appunto all’ambiente, quindi estrazioni, minaccia, tecnologia, sfruttamento, valore e vulnerabilità questi timori appaiono sulle carte che l’artista stessa ha disegnato; l’utilizzo dei tarocchi è per l’artista un metodo sia magico che pedagogico. Intorno alla stanza accanto alla video proiezione, Adelita Husni-Bey ha posizionato sculture composte da mani di silicone illuminate, esse rappresentano l’avvento di un futuro tecnologico che porta al consumo di risorse e allo sfruttamento della terra.

Senza Titolo (La fine del mondo) è il progetto di Giorgio Andreotta Calò pensato su due livelli, intervallando due mondi separati, opposti e in contemporanea contigui. Lo spazio, a cui si accede è immenso, il livello inferiore è costituito da una foresta di tubi da ponteggio che sorreggono una piattaforma di legno, questi ricordano una chiesa a cinque navate, talvolta sopra di essi si possono notare, quasi fossero nascoste, delle conchiglie in bronzo bianco, un’evocazione al mondo marino, al sommerso. Alla fine di questa lunga navata una scalinata conduce al secondo livello, qui ci si trova dinanzi a una distesa d’acqua che, ricopre tutto lo spazio del livello sottostante, la sensazione è estraniante ed emarginante. La superficie dell’acqua amplifica le dimensioni del monumentale padiglione, ribaltandone l’architettura e generando un effetto simile a quello di un miraggio. In questo lavoro Andreotta Calò riprende il concetto sulla simbologia del doppio, ispirandosi poi a La fine del Mondo, un altro libro di De Martino, in cui l’antropologo racconta un vecchio mito romano, secondo il quale alle soglie di Roma esisteva una soglia tra due mondi, quello inferiore legato agli inferi e quello superiore alla realtà terrena e alla volta terreste, tre volte all’anno la porta si apriva e i mondi comunicavano.

Leda Lunghi